Claudio Bombardieri, presidente di Unionchimica, ripercorre i momenti più concitati della pandemia, dal contagio vissuto sulla propria pelle alla grande generosità dell’imprenditoria orobica
All’inizio del 2020 la provincia di Bergamo viene colpita da un nemico sconosciuto e invisibile, capace di mettere in ginocchio non solo la Bergamasca, ma tutto il mondo. Purtroppo il nostro territorio ha pagato un prezzo altissimo in termini di contagi e di vite umane.
«State parlando con uno che il virus l’ha conosciuto in prima persona – esordisce Claudio Bombardieri -. Sono stato ricoverato per 23 giorni all’ospedale Bolognini di Seriate e poi ho affrontato altre due settimane di segregazione in casa, finché non sono passato da positivo a negativo».
Durante la permanenza nella struttura sanitaria ha avuto modo di toccare con mano il lavoro incessante degli operatori sanitari. Cosa l’ha colpita maggiormente?
«Ritengo sia giusto e doveroso elogiare tutto il sistema sanitario, dai medici agli infermieri. Stiamo parlando di ragazze molto giovani, che nella maggior parte dei casi hanno un’età che va dai 20 ai 30 anni e sono in procinto di metter su famiglia. Ebbene, non si sono mai tirate indietro, anche nei momenti più pericolosi e drammatici dell’emergenza sanitaria. Durante i giorni di ricovero mi sono trovato benissimo e ho avuto modo di parlare e comunicare con loro, riscontrando grande maturità e professionalità».
Abbiamo vissuto settimane da incubo, nelle quali c’è stato bisogno dell’aiuto di tutti, compresi gli imprenditori e le associazioni del territorio, che non hanno mai fatto mancare il loro supporto.
«Bastava aprire L’Eco di Bergamo per contare un numero impressionante di pagine dedicate ai nostri defunti e alle necrologie. Ritengo di parlare con cognizione di causa e a consuntivo posso proprio affermare che, meno male, ci sono associazioni come l’Accademia dello Sport per la Solidarietà che hanno operato in maniera lungimirante e attiva anche durante l’emergenza. Penso al nostro «Licio», Giovanni Licini, il fondatore dell’Accademia, che con poche telefonate è riuscito sempre a raggiungere persone che hanno il comune denominatore di saper fare impresa, senza mai dimenticarsi del sociale».
Cosa ci sta lasciando in eredità questa brutta pagina di storia?
Oltre ad un senso di dolore, la pandemia ha portato a Bergamo, anche tanta coesione, un sentimento già presente nella nostra comunità, ma che si è rafforzato moltissimo.
Insieme ad altri imprenditori siamo subito scesi in campo e abbiamo dato tutto il nostro aiuto sia dal punto di vista economico sia per recuperare mascherine, guanti e grembiuli. L’abbiamo fatto con tanta voglia e con grande piacere e, devo ammettere, che ci ha gratificato tantissimo.
In un mondo profondamente cambiato e stravolto a causa della pandemia, sei portato a valorizzare maggiormente i gesti portati avanti in quei momenti drammatici sotto la spinta emotiva».
Tutto è stato possibile grazie ad un grande motore, rappresentato dall’Accademia dello Sport per la Solidarietà.
«E’ chiaro che quando in compagnia hai Giovanni Licini come capitano, Beppe Panseri come ala destra e altri imprenditori lungimiranti in attacco, con quattro telefonate risulta più facile affrontare anche queste disgrazie. L’Accademia dello Sport per la Solidarietà è composta da tante belle persone, fra le quali alcune teste d’ariete. Anche durante la fase più critica dell’emergenza, è stato come come accendere la miccia con un detonatore e subito si è scatenata un’esplosione di solidarietà. Si tratta di un meccanismo già ampiamente rodato prima della pandemia, perché l’Accademia aveva sempre dimostrato che c’è sempre con il piacere di fare qualcosa di buono per il prossimo».