In una biografia è racchiusa una storia preziosa. Una storia ampia. Quasi di popolo. Perché quel cognome, Bortolotti, custodisce una dinastia che ha fatto grande l’Atalanta e dunque anche Bergamo, dando vita a un seme – quello dell’intreccio profondo tra il territorio e quei colori, ma anche e soprattutto alla cultura del vivaio, incentrato attorno a un centro sportivo diventato gioiello – i cui frutti si raccolgono anche oggi. Al termine di una stagione straordinaria, è un piacere parlare con Umberto Bortolotti di Atalanta, di un ritorno in Europa che rievoca le epopee straordinarie di quando alla guida del club c’erano papà Achille e il fratello Cesare. Cosa rimane più impresso dopo un anno come questo? «La sorpresa. La partenza in sordina, anzi con qualche difficoltà, poi l’esplosione di una squadra che ha dimostrato sul campo di essere eccezionale, per merito di giocatori, allenatore, ambiente e società. Conoscendo caratteristiche le di Gasperini, ero fiducioso in una sua affermazione qui a Bergamo: c’era solo bisogno che i giocatori lo seguissero».
Vittorie straordinarie contro Roma e Napoli, prestazioni di spessore assoluto. Ma è paradossalmente una sconfitta l’emblema del percorso magico compiuto da Gomez e compagni: «Il 7-1 con l’Inter è stato uno dei momenti più difficili. Siamo andati a San Siro tutti carichi di entusiasmo, invece prenderne sette da quell’Inter fece male. Ma la sconfitta ci ha scosso e ci ha fatto tirar fuori la grinta che serviva per l’ultimo scatto».
Quella dell’Atalanta è una storia profondamente legata al territorio. Sotto ogni aspetto: nelle presidenze che ne hanno segnato gli anni migliori, dai Bortolotti ai Percassi passando per i Radici e i Ruggeri; sul campo, con bandiere come Gianpaolo Bellini e Cristian Raimondi, solo per citare gli ultimi due capitani. Ma c’è ancora spazio, nel calcio di oggi, per giocatori così legati alla propria terra? «Spero di sì, che possa succedere ancora. Chiaro, ogni giocatore che viene dal vivaio ha speranza di fare carriera di livello: chi ha maggiori ambizioni, è tentato poi di andare in altre squadre. Magari i giocatori meno talentuosi ma più “bergamaschi” possono trovare qui la loro dimensione: Bellini ha fatto una scelta di vita, non si è fatto attirare dalle sirene di altre squadre».
Parlare con Umberto Bortolotti, però, è anche rievocare le figure limpide e indimenticabili di Achille e Cesare. Farlo nella cornice del Tennis 2017, un torneo che ogni anno le ricorda, è un momento speciale: «Qui al torneo c’è un traffico peggio che in A4 nei momenti di punta (sorride, ndr), perché si ritrovano tantissimi amici. Ovviamente sono qui per il divertimento, ma anche per rappresentare la mia famiglia. Il mio scopo è tenere vivo ricordo Cesare e Achille, e sono convinto di farlo nella maniera giusta attraverso questa kermesse. Per chi non ha vissuto quei momenti, penso ai più giovani, è giusto ricordare la storia dell’Atalanta, perché se oggi l’Atalanta è arrivata fino in Europa è anche grazie a quelle radici: c’è un filo rosso, c’è una continuità che non si spezza». Come l’impegno dell’Accademia dello Sport per la Solidarietà.